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IN DIRITTURA DI ARRIVO IL PIANO NAZIONALE SEMENTIERO BIOLOGICO

Riportiamo di seguito l’articolo di Riccardo Bocci (Rete Semi Rurali) apparso su Sementi News 6 – Agosto

 

L’Unione Europea, nella sua strategia Farm to Fork, ha stabilito il traguardo del 25% della superficie agricola coltivata a biologico per il 2030. Si tratta di un obiettivo ambizioso anche per il nostro Paese.

Per raggiungere il 25% nei prossimi sei anni è necessario fare un salto di qualità e immettere nuove energie, risorse e creatività nel settore. Un ruolo importante lo giocherà l’innovazione varietale adattata al biologico e la possibilità di sviluppare sistemi sementieri biologici di qualità, con una posizione rilevante degli agricoltori nell’innovazione e nella produzione sementiera. Uno degli strumenti fondamentali per raggiungere questi obiettivi sarà il Piano nazionale delle sementi biologiche, istituito dall’art. 8 della legge nazionale sul biologico n. 23 del 2022.

Un nuovo piano sementiero bio, infatti, era atteso da anni: l’ultimo risaliva a dieci anni fa e non era riuscito a rispettare le molte aspettative che aveva generato. A quei tempi cominciava ad affacciarsi timidamente in Italia il tema del miglioramento genetico partecipativo, legato al pensiero, ancora quasi eretico, di avere sementi adatte al bio prodotte specificamente per tale modello produttivo. Alcune azioni sperimentali erano state finanziate in tal senso, ma sostanzialmente alla fine del piano la disponibilità di sementi bio non era aumentata e le deroghe erano rimaste lo strumento più usato dagli agricoltori per accedere alle sementi. L’articolo 8 della legge cita espressamente il miglioramento genetico partecipativo come strumento per fare ricerca varietale in bio, finalizzata a sviluppare sementi “adatte all’agricoltura biologica e biodinamica e ai diversi contesti ambientali e climatici, e a i diversi sistemi colturali”. Si tratta di un cambiamento di paradigma scientifico quasi epocale. Infatti nel 2008 il precedente piano sementiero nazionale aveva solo un’azione riferita al biologico che si occupava di “valutazione dell’idoneità di varietà alla coltivazione con il metodo biologico” e non di miglioramento genetico per il bio. E le conclusioni di allora, supportate dalla maggior parte del mondo scientifico. erano che le migliori varietà in convenzionale sono anche le migliori in biologico. Da questo punto di vista la legge rappresenta un importante passo in avanti. 

Il Ministero, con il CREA-DC, ha coordinato in questi mesi una cabina di regia che ha redatto una bozza di piano di attività, discussa e approvata alla riunione del Tavolo ministeriale sul bio, il 1 marzo scorso. Questo piano è diviso in macroaree, di cui una dedicata all’innovazione varietale per programmi di miglioramento genetico partecipativo e decentralizzato, con la collaborazione di agricoltori biologici, tecnici e ricercatori. In questo ambito, si prevede la possibilità di testare strumenti informatici per la raccolta dei dati di campo e la garanzia della tracciabilità per il Materiale Eterogeneo Biologico, una delle principali novità del nuovo regolamento biologico, non ancora realmente implementata in Italia.

Speriamo che la lista dei desideri del piano diventi realtà con adeguato supporto economico per una durata temporale lunga, in modo da consentire la possibilità di sviluppare varietà biologiche e MEB.

Anche per le ditte sementiere sarà necessario un cambiamento del modello economico, perché l’obiettivo è avere tante varietà adatte a contesti diversi, e non poche da vendere a più clienti possibili.

Ovviamente nel primo caso i costi di ricerca e sviluppo si riescono ad ammortizzare, mentre nel secondo no. Quindi dovremo ripensare il rapporto tra ditte e agricoltori, finora limitato a una mera relazione di vendita con l’agricoltore solo consumatore di sementi. Oggi dobbiamo immaginare un sistema diverso, riportando le ditte sementiere nei contesti locali di sviluppo varietale e produzione delle sementi e legandole inoltre a gruppi decentralizzati di ricerca dove coinvolgere agricoltori, ricercatori e cittadini. 

L’innovazione varietale partecipata così prodotta viene veicolata sul mercato dalle ditte sementiere, ma senza patenti di proprietà. La ditta diventa uno dei soggetti economici in grado di animare il tessuto rurale su cui insiste. 

Siamo solo agli albori di un nuovo mondo, ma l’orizzonte comincia a delinearsi.

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