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LA TEMPESTA PERFETTA – UN REPORTAGE DALLE ZONE ALLUVIONATE

Il presente articolo è stato pubblicato nel numero 5 (giugno/luglio) di Sementi News

Le testimonianze raccolte risalgono ai primi giorni di giugno.

A un mese dall’alluvione la Regione Emilia-Romagna cerca di rialzarsi tra acqua e fango, contando i danni delle esondazioni. In questo speciale riportiamo le voci delle persone che hanno vissuto in prima persona la spaventosa alluvione di maggio. 

LE STORIE DEI SOCI C.A.C.

Giancarlo Villa, Socio C.A.C. da più di 15 anni, fissa i campi feriti dalla forza dell’acqua e del limo. «Adesso speriamo nel caldo e nel sole, basta acqua». Sembra quasi una preghiera, dopo l’ennesimo temporale che ha colpito Villafranca di Forlì (FC). «Eravamo tra due fuochi, è stata la tempesta perfetta: da una parte è venuto fuori il torrente Montone, dall’altra il Canale Emiliano-Romagnolo. C’aveva fretta l’acqua quando è arrivata qua». Quella che doveva essere una veloce testimonianza diventa un breve viaggio per le aree limitrofe colpite. Seguiamo Giancarlo dietro la sua jeep Honda. Ogni tanto si ferma, scende e ci indica un campo: «I cavoli sono i miei preferiti» dice davanti a quel poco che rimane di un campo di cavoli di un collaboratore «Non ne avevo mai visti di così belli, venivo qua a guardarli. Mi dispiace come fossero i miei». 

 

A noi si aggiunge Stefano Cicognani, Socio C.A.C. da 25 anni. «A mezzogiorno del 19 abbiamo pensato che sì l’acqua era uscita, ma sotto controllo. Poi aumentava sempre di più, da una parte e dall’altra. C’è roba che è rimasta sott’acqua per giorni, lo vedi dal colore dei campi: dove si schiariscono sono stati sotto tanto. Però per fortuna noi abbiamo salvato molto». Si ferma davanti a un campo «La forza dei semi è impressionante. Prendi la cipolla». continua Stefano «Niente, ragazzi, spinge fuori dalle crepe e viene su. Non molla». 

Anche Claudio Campana di San Pietro in Trento (RA), che gestisce con i due figli l’azienda di famiglia, ha vissuto momenti simili. «La mattina del 19 ci siamo accorti che il fiume Ronco aveva iniziato a esondare: nell’arco di due ore eravamo allagati. Praticamente dove abito è arrivata come un fiume in piena. Ci volevano anche far andare via perché non eravamo più in sicurezza, ma dove vuoi che andiamo? Noi eravamo al secondo piano, però c’è gente qua che l’han portata via con gli elicotteri di notte. Quelli hanno perso tutto». In alcuni dei suoi campi Claudio non è ancora entrato, come quello di barbabietola da seme che ci mostra appena lo raggiungiamo «Tutte le volte che passo per la strada e che guardo verso il campo mi scappa proprio la voglia di entrarci. Perché ci metti tutta la passione, l’impegno… Poi guarda, mancava poco e saremmo arrivati all raccolta. Qui le spese le avevamo fatte tutte. È un danno immenso». Quello che era verde ora è per lo più marrone. Claudio però, come tutti i Soci C.A.C. che incontriamo, è uno di quelli che non si abbatte facilmente «Ho già fatto fare le perizie. Adesso ripartiamo.»

In un marzo stranamente freddo – quello del 2022 – con La Redazione di Sementi News avevamo avuto modo di visitare la Cooperativa Agricola Braccianti (CAB) Massari, 115 anni di storia dagli albori della cooperazione conselicese: 2450 ettari coltivati, un allevamento di 350 capi di razza, un impianto a biogas e un agriturismo. «Noi siamo una cassa di espansione naturale.» racconta Giampietro Sabbatani, Direttore della cooperativa: «Tutte le volte che c’è un problema di esubero riceviamo l’acqua. Quando abbiamo visto la situazione abbiamo dato il permesso di aprire brecce nei canali di scolo per cercare di agevolare la fuoriuscita dell’acqua dalle zone industriali e abitate. In altri casi Conselice si è salvata, a questo giro invece è andata sotto». Il risultato di una commistione di eventi nefasti: il 2 maggio viene fuori il torrente Sillaro; Sillaro che rompe di nuovo il 16, giorno in cui esonda anche il Lamone; il 17 maggio arriva l’acqua da sud con la rottura del Santerno. «Tutti i 2450 ettari allagati: 1600 due volte, 850 una volta sola» continua Giampiero «Dobbiamo ripartire però. Ora stiamo rispondendo alle urgenze: organizzare il foraggio per i bovini e provare a riseminare il possibile. Per i nostri soci abbiamo attivato una cassa integrazione straordinaria. Sai, è questo il momento di stare vicino ai lavoratori. Molti di loro hanno ancora la casa piena di fango». 

Durante i giorni dell’alluvione, CAB Massari ha messo il proprio personale e i mezzi dell’azienda a disposizione del Comune, della Protezione Civile, del Consorzio di Bonifica e dei Vigili del Fuoco di Conselice.

I nomi di questi torrenti ritornano anche nella storia di Cesare Panieri, membro del Gruppo Giovani C.A.C., Socio di Castel Guelfo di Bologna (BO) che gestisce la sua azienda a Mordano, vicino Imola. «L’azienda dista circa due chilometri dal fiume Santerno.» spiega Cesare «Mi sono svegliato la mattina del 17 maggio, dopo che tutta la notte non avevo dormito sapendo quello che stava succedendo. Sono venuto subito in azienda perché i miei genitori mi hanno avvisato della rottura del Santerno, con tutta l’acqua che stava raggiungendo le case e le aziende. Arrivato qui ho cercato di salvare il possibile». Ad un certo punto però, le preoccupazioni iniziano a riguardare la casa di Cesare: «Mentre ero qua, mi ha chiamato mia moglie che era a casa. Avevano appena dato l’ordine d’evacuazione, perché era esondato il Sillaro. A Castel Guelfo, vicino al Sillaro, è venuta fuori un’onda di un metro e mezzo, dicono… di un metro e mezzo, che ha attraversato tutte le campagne e si è abbattuta proprio nella via dove abito. Sono riuscito a tornare a casa e per fortuna abbiamo salvato il possibile dal piano terra. Poi nei giorni successivi con i mezzi siamo andati a dare una mano nei paesi attorno, soprattutto a Sant’agata sul Santerno. Lì ne ho visti tanti di agricoltori con i trattori ad aiutare. A Sant’Agata è stato veramente un disastro». 

 

Per quanto riguarda le colture «Guarda, ti faccio un esempio» dice Cesare «I girasoli. Quando ho visto tutta quell’acqua ho pensato che erano persi. Invece, dopo due giorni a mollo, con mia grande sorpresa – e anche quella dei tecnici C.A.C. – si sono salvati. Siamo poi intervenuti subito con sarchiature e il raccolto è salvo. Per altre colture è andata peggio, ma mi ritengo comunque fortunato».

Un elemento comune, nelle parole e nei ricordi dei Soci, è lo stupore. Giancarlo Villa, agricoltore di grande esperienza e grande compagnia, uno di quelli che in paese lo conoscono tutti e gli vogliono un bene sincero – lo si capisce girando con lui – a un certo punto della nostra visita, mentre beviamo un caffè insieme, ci invita a seguirlo per un ultimo sopralluogo. «Ne abbiamo avute di alluvioni negli ultimi trent’anni, ma adesso vi porto a vedere una cosa che non ho mai visto in vita mia». Arriviamo sopra il ponte Braldo, sotto il quale passa il torrente Montone, e ci fermiamo. Alla nostra sinistra una distesa di campi colorati, a destra ettari di terra e limo solcati da profonde spaccature scure. «È incredibile» dice Giancarlo, spiegando la posizione delle rotture dell’argine «Da una parte è tutto rigoglioso; dall’altra sembra che abbiano buttato del napalm».

LA PAROLA AI REFERENTI TECNICI C.A.C.

«Hai presente le valli di Comacchio?». Maurizio Zecchini è il tecnico referente C.A.C. per le colture composite. «Era così. Sono passato in zona Conselice in macchina il giorno dopo l’alluvione e dove c’erano i campi era solo acqua, ovunque. Sembrava di stare sul Delta del Po». Lo stupore lascia spazio a un commento sulle colture composite che Maurizio segue insieme ai tecnici C.A.C. «Per i danni diretti dall’allagamento sono andati distrutti circa 150 ettari di colture professionali, soprattutto cetrioli ibridi. Ma il problema adesso è dove l’acqua è ristagnata: lì le piante non respirano e rischiano l’asfissia radicale». 

Le più colpite sono però le colture industriali. L’Emilia-Romagna copre il 60% del fabbisogno mondiale per i semi di barbabietola da zucchero e il 40% della produzione si trova nelle zone colpite dall’alluvione (fonte: Il Sole 24 Ore). Michael Ferri, referente C.A.C. per le colture industriali, lo dice subito: «più del 50% dei campi di barbabietola è andato sotto. Il 25-30% sono persi, circa 180-200 ettari». Provvidenziale è stato l’intervento tempestivo che ha salvato alcune delle colture: «Dove si è potuto abbiamo sarchiato e torchiato in modo da dare ossigeno alla parte radicale della pianta. Poi siamo intervenuti immediatamente con trattamenti ravvicinati di concime fogliare». Ed è Marco Paolini, referente C.A.C. per le colture brassicacee, a spiegare il fenomeno: «Il limo blocca ossigeno e umidità, non li fa passare sotto e forma una barriera che impedisce agli strati più bassi di asciugarsi. Nel mio caso il danno maggiore si registra  sulle carote, con 22-23 ettari distrutti». Più fortunato il comparto delle liliacee con allagamenti minimi sia in produzioni che vivai, come riportato dal referente Eros Marfoglia. «È difficile» aggiunge Eros «ma bisogna cercare di non demoralizzarsi, entrare in campo e fare di tutto per salvare la produzione e rimettere in sesto i terreni». Un messaggio ribadito infine da Marco Paolini: «Noi siamo a disposizione. Conosciamo personalmente gli agricoltori Soci: basta chiamarci e siamo pronti ad aiutare come possiamo. Speriamo solo passi presto».

LA FORZA DELLA COOPERAZIONE: LA DECISIONE DI C.A.B. TER.RA. E LA PERSEVERANZA DEI SOCI

«Non ci abbiamo pensato un secondo.» spiega Fabrizio Galavotti, Presidente della Cooperativa Agricola C.A.B. Ter.ra. «Appena abbiamo saputo della necessità di inondare i campi ho mandato un messaggio al Consiglio che mi ha dato subito l’ok a procedere». Venerdì 19 maggio, dopo due giorni di pioggia incessante, la situazione a Ravenna è complicatissima: l’acqua nei canali è talmente alta che le pompe idrovore non riescono più a sostenere la portata della piena. Il rischio è che i quadri elettrici delle idrovore vadano completamente sott’acqua, comportando una completa e disastrosa inondazione del Ravennate. Ed è a questo punto che la Prefettura di Ravenna decide di contattare la C.A.B. Terr.ra Terra chiedendo di mettere a disposizione 200 ettari di terreno per operare un’esondazione controllata e diminuire così la pressione dell’acqua sulle pompe. «Non abbiamo cambiato radicalmente la situazione» commenta Fabrizio «quello no. Però abbiamo dato un contributo per cercare di mantenere costante il livello dell’acqua.». Fondamentali diventano gli aiuti. «Per noi» mi dice Fabrizio «e per tutte le cooperative e gli agricoltori che hanno subito questo evento tragico saranno importantissimi gli indennizzi. Ci sono 5000 aziende agricole distrutte, bisogna che la politica faccia in fretta».

Poi, senza nemmeno chiederlo, si arriva a parlare della cooperazione: «La C.A.B. Ter.ra. nasce nel 1888 con Nullo Baldini, padre della cooperazione. La nostra storia è basata sui principi di solidarietà e di responsabilità civile e non abbiamo esitato un attimo nel decidere di fare quello che è stato fatto. Siamo cooperatori, siamo nel territorio da sempre. La domanda è molto semplice, insomma: preferisci che vada sott’acqua una casa o il terreno? Noi scegliamo il terreno. E lo sceglieremo sempre, anche se capitasse un’altra volta».

Ogni volta che incontriamo i Soci, quello che mi colpisce sono le mani. Spesse e ruvide, sono testimoni silenziose di una laboriosità quotidiana, della perseveranza dell’attività agricola. Sono forse le mani il simbolo dell’emergenza di questa alluvione: mani sulle pale, a spalare via acqua e fango; mani che portano fuori mobili, sedie, lavatrici e accompagnano sui marciapiedi i ricordi di una vita; mani sui pulsanti di scatto delle macchine fotografiche che fermano questi momenti; mani che finalmente tornano a smuovere il terreno per renderlo fertile e complice, e non più una gabbia per i semi e le piantine. E allora sembra quasi destino che, dopo un pensiero forse banale come questo, una frase e un gesto di Claudio Campana diano senso a tutto. Siamo davanti a uno dei suoi campi più colpiti e Claudio lo dice: «Ascolta, noi ripartiamo. Siamo agricoltori romagnoli, siamo…» e ferma le parole. Ma con forza, con perseveranza, in silenzio, fa una cosa semplicissima: si batte un pugno nella mano e guarda verso l’orizzonte.  

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